PREMESSA


Per affrontare questa lettura sarebbe auspicabile, anche se non necessario, aver in precedenza assimilato alcuni concetti base presenti nella dispensa di Acustica per Musicisti di Mauro Graziani.
In questa sede non si vuole proporre verità assolute, non credo ve ne siano, solo elementi su cui poter ragionare per arrivare a trarre delle proprie personali, anche se magari momentanee, conclusioni. E non si desidera nemmeno riproporre quanto già scritto in molti altri portali più o meno autorevoli sul mondo vocale, o meglio, si intende farlo in maniera differente, non enunciando postulati e tesi, ma lanciando ipotesi su cui poter discutere.

Probabilmente sarete a conoscenza del concetto di risonanza, ma ho notato che tale concetto rivolto all’emissione vocale non è sempre chiaro nella didattica di certi insegnanti di canto – e loro allievi di conseguenza. Stiamo parlando di uno strumento duttilissimo e dalle infinite possibilità, la voce, del quale possediamo un controllo spesso inconsapevole e sommario, anche per il fatto che non ne conosciamo bene la struttura.
Ora, un aspetto che credo tutti si possa condividere è questo, postulato appartenente a numerose tecniche vocali:

ad una precisa conoscenza fisiologica dell’apparato fonatorio
devo abbinare un database mentale di schematizzazioni figurative e propriocettive

Secondo me la questione è molto semplice (non la sua risoluzione); come potrei spiegare ad un non-udente la mia sensazione di suono?
Probabilmente potrei cominciare con una spiegazione del concetto e sensazione di vibrazione, aiutandomi con esempi pratici e tattili, mano sulla laringe e sul petto durante le fonazione, ed esempi figurativi quali fontanelle, cucchiai, spilli, fori sulla nuca o sotto al naso e quant’altro per fargli comprendere sensazioni riconducibili a focalizzazione, punta, maschera, cavità, colore, corpo, nasalizzazione, indietro, avanti, …, tutti termini che non amo particolarmente in questo ambito, data la loro oggettività praticamente inesistente, ma evidentemente utili strumenti allo scopo.
In effetti è quello che fa anche l’insegnante di canto con l’allievo alle prime armi, in questo caso non-udente nel senso di non-abituato-ad-ascoltarsi e ancora ignaro e inconsapevole di come sia strutturato fisiologicamente il proprio strumento.


FISIOLOGIA VOCALE


Il mondo vocale si divide in tre macro categorie:

Con il termine voce bianca si identifica quel timbro vocale che viene generato da un apparato fonatorio non ancora giunto alla maturazione fisiologica e quindi generalmente riferito a fanciulli non ancora giunti alla pubertà.
Una delle caratteristiche delle voci infantili è la particolare struttura timbrica; di fatto non è semplice distinguere una voce bianca di femminuccia da quella di un maschietto, in quanto l’apparato fonatorio – corde vocali, laringe e risuonatori – è pressoché identico nella sua struttura – dimensioni, forma e consistenza – in entrambi i sessi.

Tratto Vocale o Vocal Tract = spazio che intercorre tra la glottide (spazio tra le corde vocali) e labbra

Il Tratto Vocale di un soggetto maschio adulto è di norma più lungo rispetto a quello femminile, e le cavità di risonanza sono leggermente più ampie, quanto basta affinché vi sia uno sviluppo di componenti armoniche (i “mattoncini” che costituiscono il timbro della maggior parte dei suoni dei quali si può determinare l’altezza) più gravi; idem per quanto riguarda la laringe e le corde vocali, le quali permettono al maschio adulto frequenze di vibrazione minori determinando la percezione di suoni più gravi. Non è raro trovare maschietti che dopo la pubertà si ritrovino con un range vocale – sia nel parlato sia nel cantato – più grave anche di un’ottava. Discorso diverso per le ragazze, per le quali dopo la muta vocale gli organi preposti alla fonazione subiscono uno sviluppo molto meno evidente rispetto all’altro sesso.

Per la storia della pedagogìa vocale infantile del nostro paese non si possono non menzionare, tra i vari nomi, Rosa Agazzi (1866-1951) e Antonio Provolo (1801-1842), tra i primi a redigere una sorta di manuale d’uso vocale frutto delle rispettive proprie esperienze. In particolare Provolo, con la sua metodologìa empirica, riuscì a “far cantare i sordi”, come ben spiegato nel bel libro dell’amico Mario Rossi Dal canto alla parola.

In ambito didattico-vocale vi è ancora oggi molta confusione riguardo la distinzione tra registri vocali e tra le varie zone di risonanza attraverso le quali l’energia sonora dovrebbe amplificarsi per modellare il timbro. Nelle voci bianche abbiamo due registri fondamentali (determinati e controllati dal rapporto tra due muscoli, tiroaritenoideo e cricotiroideo):

modale
falsetto

Nel registro modale il tipo di emissione corrisponde alla cosiddetta voce piena, tipica del parlato (vale anche per le voci mature, che comunque prevedono anche un registro misto); salendo d’intonazione (simulando ad esempio il suono di una sirena) si arriva ad un punto in cui sembra di non essere più in grado di proseguire, rasentando l’urlo. A questo punto il rapporto funzionale tra i due muscoli si modifica e così il tempo di contatto tra le corde vocali, e il timbro viene modificato perdendo qualità e spessore in quello che viene chiamato registro di falsetto, il quale per contro ci consente di proseguire negli acuti. Il punto di passaggio, o break, tra i due registri rappresenta una delle difficoltà che ad esempio un coro di voci bianche (e non solo) deve affrontare al fine di renderlo impercettibile. Non è raro ascoltare cori di voci bianche con emissione esclusivamente in registro modale, sia per necessità di repertorio, sia per inesperienza dei direttori. In ogni caso portare i ragazzini al limite acuto di tale registro è abbastanza rischioso.

In questi due video della Université Lyon1 abbiamo una chiara panoramica di ciò che avviene all'atto della fonazione:












All'atto della fonazione le aritenoidi ruotano all'indietro e scivolano lateralmente portando dunque a contatto le corde vocali, chiudendo il mantice respiratorio. Alla pagina La Glottide trovate una spiegazione più specifica a riguardo. Qui mi preme sottolineare le tipologie che caratterizzano i meccanismi della fonazione, che possiamo ricondurre a tre:

  1. si verifica ad esempio quando dobbiamo sollevare un peso, le aritenoidi da un parte e i muscoli inclinatori della cartilagine tiroide assicurano una perfetta adduzione delle corde vocali; tipico atteggiamento utile per lo speech che permette un range di circa una quinta

  2. a questo punto le aritenoidi accentuano il loro movimento incrementando la tensione delle corde; il range vocale aumenta di un'altra quinta

  3. al secondo meccanismo si può aggiungere un ulteriore incremento della tensione fin qui acquisita grazie al movimento inclinatorio in avanti della cartilagine tiroide, alla quale è inserita l'altra estremità delle corde; il range aumenta di un'altra quinta e più

  



Nella figura a sinistra abbiamo i tre meccanismi (a-b-c) e la visione laterale del 3° meccanismo (d).

Nella figura (a) il 1° meccanismo permette l'adduzione normale delle corde vocali, atteggiamento tipico del parlato.

Nella figura (b) il 2° meccanismo aumenta la tensione delle corde grazie al movimento ulteriore delle aritenoidi.

Nella figura (d) abbiamo una visione laterale del 3° meccanismo, e si nota lo slittamento anteriore della cartilagine toroide, atteggiamento tipico di molte tecniche vocali anche moderne.
Mauro Uberti



Queste tre modalità possono attuarsi in varie combinazioni, semplificando potremmo dire che il 2° e 3° meccanismo sono caratteristici del cantato, infatti permettono il mascheramento dei break (punti di passaggio) e consentono la ricerca dell'uniformità timbrico vocale in tutta l'estensione.

Il 1° meccanismo è tipico del parlato, e infatti nel momento in cui la quinta utile diviene insufficiente, si passa di registro in maniere molto evidente.
Per chi volesse approfondire l'argomento: oramai la rete fornisce centinaia di video, da indagini laringoscopiche a visulizzazioni dell'apparato fonatorio in modeling 3D.


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