Appunti di metamusicologia – 2

3000 anni di canto armonico e il mondo va sempre peggio

di Roberto Laneri

… continuazione

A questo punto anticipo la domanda rituale che è nell’aria, e che riguarda gli effetti di questa pratica. In altre parole, che cosa fa il canto armonico a chi lo pratica e in minor misura a chi lo ascolta?

Se vogliamo, la difficoltà di rispondere a questa domanda sta nel fatto che il canto armonico serve, o può servire, a tantissime cose. Io stesso, che lo pratico dal 1972, ne scopro ogni giorno di nuove. Ad esempio anni fa fui invitato in Spagna a tenere un workshop i cui partecipanti erano una ventina di astrologi, dai quali ho imparato che esiste un branca dell’astrologia che si chiama astrologia armonica e che calcola le posizioni armoniche dei pianeti, oltre alla posizioni fondamentali…

Se pensiamo allo zodiaco come ad un cerchio di 360 gradi, e se ad esempio in un oroscopo il sole si trova a zero gradi in ariete, la seconda posizione armonica dello stesso astro verrebbe a trovarsi a 180 gradi dalla prima (zero gradi in bilancia).
Tra le applicazioni pratiche, ve ne sono ovviamente di tipo musicale. Accenno solo brevemente al fatto, di cui qualsiasi tipo di composizione che voglia utilizzare queste tecniche dovrebbe tener conto, che nel mondo del canto armonico il sistema temperato non esiste, in quanto gli armonici hanno un altro sistema di relazioni sonore secondo intervalli naturali puri, corrispondenti alla divisione per numeri interi di un’ipotetica corda vibrante (ovvero: “just intonation without even trying”—intonazione naturale senza nemmeno tentare).
Vi sono poi una serie di applicazioni di tipo conoscitivo (una sorta di jñana yoga, o yoga della conoscenza), oppure di tipo psicologico-sociale (il relazionarsi in un modo certamente diverso dalle solite interazioni personali che ha luogo quando un gruppo di persone scelgono di cantare insieme, esercitando quello che Joscelyn Godwin ha chiamato “the musical birthright of us all”—il diritto originario alla musica di ciascuno di noi).
Rientrano nel campo della fisiologia effetti come “l’effetto Tomatis”, vale a dire l’effetto di “ricarica della corteccia cerebrale” attivato dalle frequenze tra i 900 e i 3000 hertz (secondo Alfred Tomatis, ma… provare per credere), e che finalmente fa un po’ di chiarezza nel campo assai poco chiaro dei cosiddetti suoni di trance e suoni di estasi, di cui parla ad esempio la tradizione Sufi.
Al di là e prima ancora di qualsiasi applicazione pratica l’effetto più importante del canto armonico è quello di un grande aiuto a fermare il cosiddetto “dialogo mentale”, il costante chiacchiericcio della mente che è l’ostacolo più grande al suo funzionamento e che la rende simile ad una radio mal sintonizzata. I neurofisiologi contemporanei sono tutti d’accordo sul fatto che il cervello sfrutti una piccola parte delle sue potenzialità, per la precisione dal 5 al 15 per cento. Tutto questo era già noto a Patanjali (terzo secolo a.C.?), il quale nei suoi Yogasutra lo afferma a chiarissime lettere: “Lo yoga è l’arresto delle funzioni mentali”, laddove per funzioni mentali si intende la congerie di pensieri irrilevanti, incontrollati e incontrollabili che premono sulla soglia della coscienza.
Quando si riesce a stare nel vuoto mentale, la percezione con le sue illusioni si pulisce automaticamente (vedi William Blake: “The doors of perception they be cleansed”). Ho l’impressione che la percezione umana nel corso della storia sia andata mano a mano degradando. La vera tragedia della percezione, di cui l’ascolto è soltanto una parte, si può ascrivere al fatto che nel mondo occidentale, all’incirca dal ‘700, la percezione ufficiale si è limitata al mondo materiale, escludendo tutto il resto, tutte le zone di confine. Inutile dire che questo paradigma rovinoso non solo è stato poi imposto al resto del mondo, ma ci impedisce di fatto di capire veramente qualsiasi manifestazione artistica e spirituale che ad esso non si conformi. Prendiamo ad esempio l’arte aborigena australiana, che è fatta quasi soltanto di due cose, e cioè di reticoli e di punti. Un’interpretazione puramente estetica di questi segni, che vorrebbe gli aborigeni precursori di Braque e Seurat, non ne coglie la vera natura, che è in primo luogo descrizione precisa della realtà percepita sotto forma di patterns di energia.
Quindi addentrarsi nel mondo degli armonici significa risolvere una volta per tutte l’insensata dicotomia materia/spirito. Citando il maestro Sufi Pir Vilayat Khan, con cui ho avuto l’onore di lavorare per parecchio tempo, si può definire la materia come spirito solidificato e lo spirito come materia rarefatta.

… continua

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